giovedì 13 ottobre 2011

Generazione sfruttata, parla una giornalista di Presadiretta

Il 2 ottobre è andata in onda la puntata di Presadiretta, di Riccardo Iacona, dedicata alla "Generazione sfruttata". La trasmissione ha messo bene in evidenza il far west dilagante nel mondo del lavoro che penalizza soprattutto gli under quaranta. In particolare i giornalisti di Presadiretta hanno messo in evidenza come i contratti atipici siano utilizzati in modo improprio in diversi settori, dalle professioni della conoscenza (archeologi, redattori editoriali, giornalisti) al commercio, fino all'autotrasporto. Oltre alla precarietà, ad affliggere molti lavoratori sono le basse retribuzioni, in assenza di una legislazione sui compensi minimi. Infine, le prospettive pensionistiche non sono affatto rosee. Nella seconda parte della puntata sono state raccontate storie di italiani emigrati a Barcellona che lì hanno trovato terreno fertile per realizzare le proprie aspirazioni, stabilizzarsi e godere di un'elevata qualità della vita.
La puntata ha innescato un dibattito sulla rappresentazione dei precari in televisione, ne parliamo con Elena Stramentinoli, inviata di Presadiretta. Elena, anche lei precaria (come è stato denunciato proprio durante la trasmissione), ha intervistato alcune nostre colleghe e ha realizzato il servizio sul Salone del libro di Torino.



Prima di tutto: quali sono state le reazioni in rai rispetto al vostro "coming out precario"?
Le reazioni della Rai non sono pervenute. La nostra autodenuncia è caduta nel vuoto.

A proposito di reazioni, da San Precario alla Rete dei redattori precari sono state avanzate alcune critiche al modo in cui è stato trattato l'argomento "generazione sfruttata". I giovani sono stati rappresentati come attori passivi che subiscono l'ingiustizia dell'attuale legislazione sul lavoro senza possibilità di reagire. È stata mostrata la manifestazione al Salone del libro e avete riportato di un caso di causa vinta in una cooperativa trasporti, ma nella carrellata di ingiustizie sono parsi due episodi marginali.  Il poco spazio dato alle "reazioni" a trattamenti ingiusti è stato una scelta? E se sì, perché?
La risposta è un po’ articolata. Noi volevamo solo fare una fotografia di quella che è la situazione dei precari in Italia, ma dire che non abbiamo voluto parlare di chi reagisce non è corretto. Vorrei sottolineare che abbiamo iniziato la puntata con il racconto della manifestazione del 9 aprile! Nessuno fino ad oggi si è mai occupato in maniera così approfondita del lavoro precario ed era per questo nostro dovere raccontare in maniera onesta che cosa volesse dire, le difficoltà che quotidianamente incontra chi non ha un lavoro sicuro e ben pagato. Faccio parte anche io di questa numerosa schiera e non mi sento affatto sfigata nonostante non riesca a permettermi una casa da sola. Non tutti sono a conoscenza di cosa significhi vivere così. Noi siamo solo un'avanguardia e pure poco numerosa: la paura è ancora il sentimento dominante e dopo l'esperienza di questa puntata sono fermamente convinta che ci sia ancora molto lavoro di sensibilizzazione da fare.

Il linguaggio televisivo tende sempre alla semplificazione estrema. Anche nella puntata Gioventù sfruttata è stata mostrata un'Italia in cui tutto va male contro una Spagna in cui tutto va bene. È necessario per far passare il messaggio? O l'accentuazione dell'emotività è un modo per avere maggiori ascolti?
Ci spiace constatare che il racconto di Barcellona non sia stato compreso fino in fondo. Abbiamo pubblicamente ammesso il nostro errore: sarebbe bastata una riga per spiegare che Barcellona non è il paradiso e che la Spagna come noi è in seria crisi economica. Ma loro non hanno, in ogni caso, la selva di contratti che abbiamo noi in Italia. E ricordatevi che i nostri connazionali che se ne vanno sono sempre di più degli immigrati che arrivano: un problema ci sarà, o no? Noi raccontiamo le cose dal basso, attraverso le persone, le loro facce, le loro storie. È, ovviamente, un approccio emotivo scelto non per fare ascolti, ma semplicemente come cifra narrativa. E' la peculiarità di Presa Diretta, tutto qui.

Perché è stato scelto di dare "ottimismo" mostrando casi di giovani che ce l'hanno fatta a Barcellona e non, invece, casi analoghi in Italia (che pur ci sono)?
Sottolineo ancora una volta che il confronto con Barcellona serviva per far emergere la deregulation italiana, per questo abbiamo scelto un esempio estero.

Tanti, dopo la visione (anche la sottoscritta) hanno sentito un profondo senso di frustrazione e impotenza. Per alcuni il sentimento prevalente è stato la rabbia. La reazione emotiva degli spettatori alla trasmissione è un problema che in generale vi ponete?
 Sembrerà strano, ma quando siamo al montaggio, scegliamo di raccontare quello che piace a noi, senza porci troppo il problema delle reazioni di chi sta a casa. Anche perché siamo noi i primi spettatori dei nostri racconti e la rabbia, la frustrazione, o qualsiasi altra emozione, le viviamo sulla nostra pelle.

Per voi giornalisti di Presadiretta quanto è importante l'impegno sociale e la spinta a formare l'opinione pubblica?
Posso rispondere a titolo personale. Credo che il giornalista abbia come compito quello di raccontare quello che succede, senza avere la presunzione di formare o insegnare.

Hai avuto difficoltà a raccontare il mondo editoriale? Ritieni che ci sia una forma di omertà rispetto alla denuncia della deregolamentazione che affligge il settore? E a cosa è dovuta?
La mia esperienza con i lavoratori dell'editoria è stata parziale e non approfondita, per questo mi limiterò ad osservazioni superficiali. La paura è senza dubbio il sentimento dominante, non ho trovato molte persone disposte ad esporsi. Mi è stato detto che il mondo dell'editoria è un mondo piccolo, dove tutti si conoscono e dove quindi è facile passare per il rompiscatole di turno, rischiando in questo modo di rimanere disoccupati. Mi è parso anche di capire che i lavoratori dell'editoria subiscano un ricatto più o meno esplicito da parte delle case editrici e che la forza per spezzare questo meccanismo sia ancora poca.

Per concludere, ogni cosa è perfettibile e noi non pensiamo affatto che il nostro racconto sia l'unico possibile, ma sicuramente abbiamo per la prima volta creato un dibattito su un problema da anni sotto agli occhi di tutti e di questo ce ne va dato, credo, il merito.
 

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