domenica 11 marzo 2012

Aiutati che il Pd ti aiuta


Ieri allo Spazio informale si è tenuta la conferenza Generazioni ad alta risoluzione organizzata dall'associazione XX Maggio e dai Giovani democratici. Sono state invitate a parlare diverse associazioni di lavoratori precari di vari settori e studentesche, in ascolto il segretario del Pd Bersani e altri dirigenti.
 Il Governo vuole intraprendere un'azione di riforma del mercato del lavoro, e naturalmente il tema della precarietà è diventato centrale. Ma perché la scandalosa situazione di tutti i lavoratori non garantiti e privi di tutele non diventi il paravento dietro il quale nascondere lo smantellamento dei diritti dei lavoratori a tempo indeterminato è fondamentale che chi la precarietà la vive possa avanzare le proprie proposte e far conoscere le propria visione di come dovrebbe essere il mercato del lavoro.
Qui trovate l'intervento della rappresentante dei redattori precari, qui le parole della rappresentante di Strade, il sindacato dei traduttori editoriali.
Dopo aver ascoltato una decina di interventi Bersani ha risposto con un lungo discorso che ci è parso vago e confuso... solo al termine è arrivato il messaggio: bravi, continuate così, autorganizzatevi e datevi una mano tra voi e vedrete che anche il Pd vi darà una mano. Come? Non è dato saperlo.

venerdì 2 dicembre 2011

Più libri, più liberi di... lavorare gratis!

La prossima settimana, il 7 dicembre, avrà inizio la fiera della piccola e media editoria Più libri più liberi.
Un evento di successo, giunto alla decima edizione, nato per dare visibilità alle case editrici che sono quasi invisibili in libreria, soprattutto nelle librerie di catena.

Un'iniziativa lodevole e sicuramente vantaggiosa economicamente per le realtà che vi partecipano: l'anno scorso i visitatori sono stati più di 56.000 e 85.000 i libri venduti. Anche i visitatori ne traggono un beneficio: i libri infatti sono scontati e così i regali di Natale sono originali e meno onerosi.
Per qualcuno però i 5 giorni della fiera, che si tiene sempre durante il ponte dell'Immacolata, sono una croce. 
Nell'editoria (e ancor più in quella micro, piccola e media) è una prassi assai comune che gli standisti siano i redattori, gli uffici stampa, ma anche caporedattori, editor o amministrativi che devono immolare i loro fine settimana e, in questo caso, un intero ponte all'altare del lavoro.
Molti editori danno infatti per scontato che i loro collaboratori (e non usiamo la parola dipendenti a proposito) passino dieci ore di un giorno festivo in uno stand, a vendere libri, senza alcun compenso aggiuntivo. Gratis insomma. E guai a chi si sottrae!

Alcuni editori (magnanimi) concedono poi un giorno o due di ferie, molti nemmeno questo! A Rerepre sono arrivate anche segnalazioni di diversi lavoratori che durante le fiere non vengono nemmeno rimborsati per le spese sostenute per la trasferta. Nel contesto delle piccole case editrici è difficile dire di no a simili richieste, il capo è spesso anche un amico, i collaboratori sono pochi, i soldi scarseggiano, ci si sente sempre in bilico e quindi il lavoro facilmente scivola verso  una forma di volontariato. Ci si sacrifica per la causa, per diffondere il frutto del proprio lavoro e per mantenere il posto.
Nel pazzo mondo dell'editoria, opera inoltre uno strano meccanismo psicologico (soprattutto tra i più giovani) che fa considerare la fiera una sorta di premio: è l'occasione per incontrare i colleghi delle altre case editrici, di andare a feste, di farsi conoscere, di tenersi aggiornati e vedere quello che fanno gli altri. E in tutto questo ci si dimentica che fare gli standisti è pur sempre un lavoro, che i giorni festivi dovrebbero essere dedicati al riposo o perlomeno retribuiti meglio dei giorni feriali. 
Difficilmente in una fiera di rubinetterie o di macchine agricole si trovano standisti non pagati...

domenica 16 ottobre 2011

15-10-2011 | Il nero è il colore dei vigliacchi

Anche ReRePre era alla manifestazione di ieri, questo il racconto di una di noi:


Permettere a cento ragazzini sconosciuti di farti avere paura. Permettere che decidano per  200.000 uomini e donne e per te, che da 35 anni lotti per la casa, l’istruzione, il lavoro. Da solo o in compagnia. A te hanno detto che la parola “compromesso” è una parola non bella, te la immagini e ha la faccia antipatica di un Tremonti qualunque. Per questo sei lì a manifestare. Così tutta la vita hai fatto compromessi, e compromesso dopo compromesso hai lottato. E lotta dopo lotta ti sei trovato con un megafono e duecento copie di un racconto prezioso, Mattino bruno di Frank Pavloff. Avevi deciso di leggerlo alla gente, e di regalare quelle duecento copie. Piaceva a te e ai tuoi compagni, l’idea che la gente sarebbe tornata a casa dalla manifestazione più importante degli ultimi dieci anni con una piccola storia rivoluzionaria di sole 30 pagine che le avrebbe raccontato quanto è pericoloso spegnere i cervelli. Non è andata così. Non c’è stato il momento.
Quando ti sei guardata intorno per vedere dove distribuire i tuoi stupidi libretti, un gruppo di ragazzi, quelli che ogni tanto ti danno pure del lei in tram, si sono coperti la faccia senza neanche sapere che esisti. Ma non eravamo una moltitudine?  Io pensavo che avessero visto i poliziotti caricare e si coprissero per difendersi, ma lì vicino c’era poco o niente di blu. Invece è montata un’onda nera. A me il nero non è mai piaciuto. Francesca vicino a me mi ha detto «Andiamo». L’ho sentita tirarmi nervosa.  Alle manifestazioni sorrido sempre, mi si è spento il sorriso sulla faccia ma non riuscivo a staccare gli occhi. Avevo visto spaccare vetrine solo in televisione, non riuscivo a scappare. Era come quando vedi un morto per strada, che è una cosa orribile ma sotto sotto non riesci a distogliere lo sguardo. Non riuscivo a staccarmi. Dalle vetrine rotte volava di tutto: a un certo punto era un carosello di carne confezionata che a parabola planava sulla folla. Abbiamo avuto paura, siamo scappate. La gente scappava e imprecava. Davanti loro a spaccare tutto, dietro il muro della polizia. Chiuse in mezzo. Con la rabbia di essere la maggioranza ma non poter scegliere.
Un barbiere ci ha dato rifugio nel suo negozio. Siamo riuscite a non far tremare le mani e a tornare coi nostri libri da regalare in mezzo alla gente. Tempo cinque minuti un altro blitz di questo agglomerato di gente senza faccia, tutta nera, che avanzava con arroganza, senza occhi. Vi ricorda qualcuno?
Di nuovo la paura. Un ragazzo si prende un pugno in volto perché ha la “faccia” da digos. Certo, almeno però lui una faccia ce l’aveva.
Avanti così, tutto il tempo, a smettere di sorridere, a scordarsi la lotta perché troppo presi a guardarsi le spalle. La paura, a cadenza di cinque minuti.
Io vi odio. Ho diritto di odiarvi, perché soffro e lotto da più anni di voi, che siete piccoli e non capite un cazzo. L’avete dimostrato oggi, coprendovi il volto e approfittando di noi per fare i teppisti da quattro soldi. Tra poco tornerete a casa, e con ogni probabilità sarà una casa affittata a nero con affitti quelli sì da rivolta. e per questo fino ad ora non avete fatto niente. Oppure tornerete a casa dai vostri genitori e non gli direte neanche che avete passato il pomeriggio a spaccare tutto. E che tra due giorni chi vi comanda avrà ripulito tutto e riderà di voi. Purtroppo anche di noi, sempre per colpa vostra. Ma sarete troppo contenti di avere spaccato tutto.
Io vi odio. Oggi ci avete fatto paura, perché eravate forti di noi stessi. Per questo vi odio, perché vi siete nascosti in mezzo alla nostra manifestazione per sfogare i vostri stupidi istinti. Voi siete senza perché. Siete corpi senza testa. Senza occhi. Siete le mani e i piedi di quelli che odiate. Non avete il dono della parola, sapete solo picchiare, anonimi e stupidi. Non servite a niente.
Siete vestiti uguali, vi muovete e agite solo in gruppo. Lo facevano anche settant’anni fa, nelle stesse strade. Se qualcuno non era d’accordo con loro lo picchiavano e lo umiliavano. Siete i peggiori dei fascisti, quelli che scavalcano i secoli e rovinano il mondo. Sono felice di non essere vostra sorella. Sennò sarei costretta ad aspettare uno di voi  a casa, quando rientra, da solo.
Almeno potevate scegliere un altro colore per esistere.
Il nero è il colore dei vigliacchi.

giovedì 13 ottobre 2011

Generazione sfruttata, parla una giornalista di Presadiretta

Il 2 ottobre è andata in onda la puntata di Presadiretta, di Riccardo Iacona, dedicata alla "Generazione sfruttata". La trasmissione ha messo bene in evidenza il far west dilagante nel mondo del lavoro che penalizza soprattutto gli under quaranta. In particolare i giornalisti di Presadiretta hanno messo in evidenza come i contratti atipici siano utilizzati in modo improprio in diversi settori, dalle professioni della conoscenza (archeologi, redattori editoriali, giornalisti) al commercio, fino all'autotrasporto. Oltre alla precarietà, ad affliggere molti lavoratori sono le basse retribuzioni, in assenza di una legislazione sui compensi minimi. Infine, le prospettive pensionistiche non sono affatto rosee. Nella seconda parte della puntata sono state raccontate storie di italiani emigrati a Barcellona che lì hanno trovato terreno fertile per realizzare le proprie aspirazioni, stabilizzarsi e godere di un'elevata qualità della vita.
La puntata ha innescato un dibattito sulla rappresentazione dei precari in televisione, ne parliamo con Elena Stramentinoli, inviata di Presadiretta. Elena, anche lei precaria (come è stato denunciato proprio durante la trasmissione), ha intervistato alcune nostre colleghe e ha realizzato il servizio sul Salone del libro di Torino.



Prima di tutto: quali sono state le reazioni in rai rispetto al vostro "coming out precario"?
Le reazioni della Rai non sono pervenute. La nostra autodenuncia è caduta nel vuoto.

A proposito di reazioni, da San Precario alla Rete dei redattori precari sono state avanzate alcune critiche al modo in cui è stato trattato l'argomento "generazione sfruttata". I giovani sono stati rappresentati come attori passivi che subiscono l'ingiustizia dell'attuale legislazione sul lavoro senza possibilità di reagire. È stata mostrata la manifestazione al Salone del libro e avete riportato di un caso di causa vinta in una cooperativa trasporti, ma nella carrellata di ingiustizie sono parsi due episodi marginali.  Il poco spazio dato alle "reazioni" a trattamenti ingiusti è stato una scelta? E se sì, perché?
La risposta è un po’ articolata. Noi volevamo solo fare una fotografia di quella che è la situazione dei precari in Italia, ma dire che non abbiamo voluto parlare di chi reagisce non è corretto. Vorrei sottolineare che abbiamo iniziato la puntata con il racconto della manifestazione del 9 aprile! Nessuno fino ad oggi si è mai occupato in maniera così approfondita del lavoro precario ed era per questo nostro dovere raccontare in maniera onesta che cosa volesse dire, le difficoltà che quotidianamente incontra chi non ha un lavoro sicuro e ben pagato. Faccio parte anche io di questa numerosa schiera e non mi sento affatto sfigata nonostante non riesca a permettermi una casa da sola. Non tutti sono a conoscenza di cosa significhi vivere così. Noi siamo solo un'avanguardia e pure poco numerosa: la paura è ancora il sentimento dominante e dopo l'esperienza di questa puntata sono fermamente convinta che ci sia ancora molto lavoro di sensibilizzazione da fare.

Il linguaggio televisivo tende sempre alla semplificazione estrema. Anche nella puntata Gioventù sfruttata è stata mostrata un'Italia in cui tutto va male contro una Spagna in cui tutto va bene. È necessario per far passare il messaggio? O l'accentuazione dell'emotività è un modo per avere maggiori ascolti?
Ci spiace constatare che il racconto di Barcellona non sia stato compreso fino in fondo. Abbiamo pubblicamente ammesso il nostro errore: sarebbe bastata una riga per spiegare che Barcellona non è il paradiso e che la Spagna come noi è in seria crisi economica. Ma loro non hanno, in ogni caso, la selva di contratti che abbiamo noi in Italia. E ricordatevi che i nostri connazionali che se ne vanno sono sempre di più degli immigrati che arrivano: un problema ci sarà, o no? Noi raccontiamo le cose dal basso, attraverso le persone, le loro facce, le loro storie. È, ovviamente, un approccio emotivo scelto non per fare ascolti, ma semplicemente come cifra narrativa. E' la peculiarità di Presa Diretta, tutto qui.

Perché è stato scelto di dare "ottimismo" mostrando casi di giovani che ce l'hanno fatta a Barcellona e non, invece, casi analoghi in Italia (che pur ci sono)?
Sottolineo ancora una volta che il confronto con Barcellona serviva per far emergere la deregulation italiana, per questo abbiamo scelto un esempio estero.

Tanti, dopo la visione (anche la sottoscritta) hanno sentito un profondo senso di frustrazione e impotenza. Per alcuni il sentimento prevalente è stato la rabbia. La reazione emotiva degli spettatori alla trasmissione è un problema che in generale vi ponete?
 Sembrerà strano, ma quando siamo al montaggio, scegliamo di raccontare quello che piace a noi, senza porci troppo il problema delle reazioni di chi sta a casa. Anche perché siamo noi i primi spettatori dei nostri racconti e la rabbia, la frustrazione, o qualsiasi altra emozione, le viviamo sulla nostra pelle.

Per voi giornalisti di Presadiretta quanto è importante l'impegno sociale e la spinta a formare l'opinione pubblica?
Posso rispondere a titolo personale. Credo che il giornalista abbia come compito quello di raccontare quello che succede, senza avere la presunzione di formare o insegnare.

Hai avuto difficoltà a raccontare il mondo editoriale? Ritieni che ci sia una forma di omertà rispetto alla denuncia della deregolamentazione che affligge il settore? E a cosa è dovuta?
La mia esperienza con i lavoratori dell'editoria è stata parziale e non approfondita, per questo mi limiterò ad osservazioni superficiali. La paura è senza dubbio il sentimento dominante, non ho trovato molte persone disposte ad esporsi. Mi è stato detto che il mondo dell'editoria è un mondo piccolo, dove tutti si conoscono e dove quindi è facile passare per il rompiscatole di turno, rischiando in questo modo di rimanere disoccupati. Mi è parso anche di capire che i lavoratori dell'editoria subiscano un ricatto più o meno esplicito da parte delle case editrici e che la forza per spezzare questo meccanismo sia ancora poca.

Per concludere, ogni cosa è perfettibile e noi non pensiamo affatto che il nostro racconto sia l'unico possibile, ma sicuramente abbiamo per la prima volta creato un dibattito su un problema da anni sotto agli occhi di tutti e di questo ce ne va dato, credo, il merito.
 

mercoledì 5 ottobre 2011

Una cura per il mal di libri

Meglio la Partita iva o il contratto a progetto? Ma il progetto del mio cocopro è un vero progetto? Quante volte si può rinnovare un contratto a tempo determinato? E quante volte vi siete fatti domande come queste?
Bene, sabato 8 ottobre potrete avere finalmente delle risposte.

L'8 e il 9 ottobre al Forte Fanfulla in via Fanfulla da Lodi 5, dalle 11 del mattino alle dieci della sera, una due giorni per conoscere di persona gli addetti al lavoro editoriale e orientarsi nel misterioso mondo dell’editoria.
Tra i numerosi eventi in programma, segnaliamo quello che ci sta più a cuore: alle 15 di sabato si terrà un reading di contratti atipici con commento della Rete redattori precari, di un rappresentante della Consulta delle professioni della Cgil, di Elena Stramentinoli di Presa diretta. Il tutto moderato da Roberto Ciccarelli del Manifesto.
Sarà il momento per avere finalmente delle risposte su tutti i dubbi che vi attanagliano riguardo la vostra posizione contrattuale e per conoscerci. Partecipate numerosi!


Qui l'intero programma della manifestazione:
http://www.fanfulla.org/mal-di-libri/

domenica 18 settembre 2011

Il lato nascosto dell'editoria

Il panorama editoriale romano è molto vivace: è composto da una miriade di case editrici piccole e medie, corsi di editoria universitari e privati, manifestazioni culturali - dal premio Strega al festival della Letteratura alla fiera Più libri più liberi. Si tende a pensare che il mondo dell'editoria romana sia povero, ma dorato, tutto feste e chiacchierate tra intellettuali e, se ciò è senza dubbio una parte della verità, è anche vero che questo bel mondo di belle speranze e aspirazioni culturali spesso nasconde le difficili condizioni di chi vi lavora.
Stage gratuiti e prolungati, contratti precari, partite iva coatte, basse remunerazioni, orari di lavoro senza fine, pagamenti posticipati, esternalizzazioni. Insomma, il settore dell'editoria libraria sembra essere un'avanguardia della precarietà, che vi è presente in ogni forma possibile.
Questo blog, gestito dalla Rete dei redattori precari di Roma, darà voce a tutti quei lavoratori che non compaiono su colophon e frontespizi, ma rendono possibile la pubblicazione dei libri. Darà inoltre consigli e dritte a tutti coloro che si sentono privi di rappresentanza e punti di riferimento, perché abbiano maggiore consapevolezza e potere contrattuale.
In questo blog si indagheranno le ragioni di questo stato di cose, senza puntare pregiudizialmente il dito contro gli editori, ma andando alla ricerca, possibilmente insieme a loro, di soluzioni.
Ogni post apparirà nell’homepage di Paese Sera.

Se sei un lavoratore dell’editoria e vuoi raccontare la tua esperienza, scrivici a roma@rerepre.org, e pubblicheremo la tua storia o la tua denuncia.
Se sei un lettore e hai domande e curiosità, scrivici e avrai una risposta.
Scrittori, traduttori, corsisti, aspiranti redattori, stagisti, studenti, uffici stampa e grafici, siete tutti invitati a proporre argomenti o a contribuire a questo blog.